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Ruderi del Castello di Piai
Storia
Il Castello di Piai ha avuto il periodo di maggior splendore sotto la Signoria dei Da Camino nei sec. XIII-XV : lo conferma una cassaforte in legno massiccio, rivestita da lamine di ferro con trama ortogonale assicurate al supporto con chiodi ribattuti, appartenuta fino al 1423 all’ultimo castellano Salatino Scotti ed ora custodito nella chiesa arcipretale di Fregona (un forziere uguale a questo anche per il complesso meccanismo di sicurezza alloggiato sul coperchio, ma di minori dimensioni, si trova al castello di Gorizia).
Situato sul colle omonimo in vista panoramica ai piedi del monte Pizzoc, estrema propaggine occidentale del massiccio del Cansiglio-Cavallo, esso ha origini romane come postazione di controllo, lungo le valli dei torrenti Carron e Friga, affluenti del Meschio, connessa con la strada che saliva verso l’altopiano del Cansiglio e dell’Alpago, in collegamento, anche visivo, con le rocche di Serravalle e Ceneda ad ovest, e con l’insediamento fortificato tardo-antico del Re Matruch a sud, in località Nastego alle Fratte e a est con quelli del colle di San Daniele sopra Osigo e di Montaner in comune di Sarmede.
Le investiture dei Da Camino e il Castello
I Da Camino, per opportunità politica, si fecero via via investire dei feudi, tra cui sempre Fregona, un po’ da tutti: il vescovo di Ceneda Aimone nel 1089, il vescovo di Belluno Druso (o Drudo) nel 1198, il vescovo di Belluno Filippo nel 1211, il patriarca di Aquileia Valficherio nel 1212, il vescovo di Ceneda Alberto nel 1233, il vescovo di Belluno Gorzia de Lusia e il Patriarca di Aquileia 1339… , non è però nostro scopo seguire qui le contorte cause ereditarie e le molteplici investiture dei Da Camino, quello che conta è che, secondo i documenti, i Da Camino si insediano a Fregona tra il 1089 e il 1198 ed è probabile che in questo periodo abbiano costruito il castello di Piai probabilmente sui resti di un insediamento preesistente.
Non è nota la data della distruzione, forse il castello caminese di Piai fu diroccato dagli Ungari di Pippo Spano che dal 1411 avevano invaso il territorio Cenedese, abbattendone la maggior parte delle fortezze, o forse fu abbandonato poco prima, col declino dei Da Camino alla fine del XIV secolo, ultime citazioni rinvenute nei documenti si riferiscono al 1383 durante la guerra con i Carraresi.
La storia successiva
Da quel momento il castello segue le turbolente vicende della famiglia. Il 10 febbraio 1242 Biaquino e Guecello Da Camino sono dichiarati decaduti da tutti i feudi del cenedese prima loro assegnati, per sentenza dei quattro Pari della Curia generale di Ceneda avendo assalito Porto Buffolè e ucciso il vicario episcopale e si cita il “castrum Fregone”.
Nel 1246 il castello di Fregona passa temporaneamente da Tolberto da Camino a Ezzelino da Romano, con cui Tolberto si era alleato. Ezzelino da Romano infatti era da queste parti con intenzioni bellicose: “essendo il signor Ezzelino da Romano col suo esercito dalle parti di Ponte di Piave, e trovandosi con lui il signor Tolberto …”, “quasi spontanea voluntate..”, quasi(!!) spontaneamente, gli affidò la custodia dei suoi castelli. Il castello presto è però di nuovo dei da Camino, il 18 maggio 1261 Biaquino e Tolberto stipulano accordi di divisione dei beni e a Biaquino tocca, tra l’altro, Fregona: ”Castrum Fregonum cum Fregona ”.
Del castello si riparla, 14 settembre 1296 nell’episodio del rapimento da parte dei fregonesi in “montibus faedi” in località Cercenedo, di competenza della gastaldia di Caneva, dei mercanti che passavano con il loro carico, “cum aliquibuis somis”, sulla strada del Patriarca – i mercanti sequestrati vengono rinchiusi nel castello di Fregona “ad castrum Fregone conduxerunt”.
Nei primi anni del 1300 i da Camino si alleano con gli Scaligeri, nel 1315 c’è un doppio matrimonio voluto da Guecellone: Rizzardo (VI Novello) con Verde della Scala nipote di Cangrande, Aica (Gaia) con Franceschino figlio di Bartolomeo I. Questa politica gli inimica Treviso, di fede guelfa, e Guecellone è costretto a ritirarsi a Feltre, però nel 1319 il 27 dicembre, Guecellone chiede e ottiene, con atto di omaggio al vescovo di Ceneda Manfredo di Collalto, l’investitura di Zumelle, Valmareno, Serravalle, Fregona, Cordignano, …
Nel 1320 Guecellone conclude anche un accordo con Treviso, ma i della Scala si ritengono traditi da questo voltafaccia e si apre un periodo confuso di lotte con Cangrande della Scala, anche perché il veronese mira al possesso di Belluno e del Cadore, ed in seguito a questi contrasti Guecellone fa ripudiare da suo figlio Rizzardo la moglie Verde della Scala, e stipula il 22 marzo 1322 un contratto matrimoniale tra Rizzardo e Anna figlia di Ottone II duca di Carinzia; la stipula avviene pubblicamente “ad plebem in platea comunis” a Fregona.
Al ritorno da Verona, nel luglio del 1322, dove si era recato per le trattative di pace con Cangrande, Guecellone viene catturato a tradimento su ordine del vicario di Padova (e probabilmente di Cangrande) e tenuto in prigione a Cittadella per otto mesi, ma nello stesso anno (1 agosto 1322) il vescovo di Ceneda gli rinnova l’investitura, tra gli altri, del castello di Fregona.
Il castello di Fregona viene di nuovo citato nel documento con cui nel 1323 il 13 settembre il vescovo di Ceneda scomunica Guecello e suo figlio Rizzardo; scomunica che arrivava da papa Giovanni XXII che, in base al testamento di Rizzardo fratello di Guecellone, si aspettava di ricevere certi lasciti, e non avendoli ricevuti, aveva inviato due suoi incaricati a “sequestrare” i possedimenti dei Da Camino.
In novembre del 1324 Cangrande occupa Cavolano, Serravalle, Formeniga e Fregona: per cui, essendo morto nel frattempo suo padre Guecellone, Rizzardo VI Novello si riprende la moglie Verde della Scala, e i suoi feudi occupati dallo zio della moglie. Nel 1335 muore Rizzardo VI ultimo dei Da Camino di Sopra per ferite riportate in battaglia nelle praterie dei Camolli presso Sacile, e la moglie Verde, incinta, assume la tutela delle due figlie e del nascituro: Verde però partorisce un’altra femmina e quindi il ramo dei Da Camino di sopra si estingue, col pericolo che, essendo Verde sorella di Alberto e Mastino della Scala, i veronesi avanzino diritti sull’eredità. I Da Camino di sotto si fanno quindi avanti con i loro diritti ereditari, ma anche il vescovo di Ceneda Ramponi pensa di prendersi i feudi perché l’investitura ai Da Camino veniva, almeno secondo lui, dal vescovo di Ceneda.
Quindi il 12 ottobre 1337, il vescovo investe tre Procuratori di San Marco, Marco Morosini, Marco Giustiniani e Giustiniano Giustiniani di un certo numero di feudi ex Da Camino, tra cui Fregona e il suo castello; in cambio si riserva metà delle rendite. I Da Camino di Sotto, Rizzardo IV e Gherardo non molto soddisfatti di questa mossa reagiscono in tre modi: si fanno investire dei beni in questione dal vescovo di Belluno Gorzia de Lusia e dal Patriarca di Aquileia (3 marzo 1339), avviano una causa legale, che vinceranno, ordiscono una congiura contro il vescovo con l’appoggio del Patriarca di Aquileia. Per quanto riguarda la congiura contro il vescovo, il 14 gennaio 1340 Pietro da San Lorenzo, dipendente del vescovo di Ceneda, denuncia la congiura e mostra una lettera come prova.
Fregona è al centro delle trame, un congiurato infatti dice “parteciperanno persone favorevoli ai Da Camino di … Fregona … “ e i congiurati si danno appuntamento a Fregona: ”tra tre giorni andremo tu e io a Fregona a parlare col tuo amico ser Mino, …”. Un successivo documento riporta un interrogatorio dei congiurati (16 febbraio 1340) in cui si fanno anche dei nomi: Joannes de Fregona, definito, assieme ad un certo Guerzulus, “familiares domini Rizzardi de Camino” (familiares sta per servi con incarichi importanti o piccoli vassalli n.d.r.) e si dice che la loro “base” era a Fregona da cui si recavano a Ceneda “venivano a Ceneda e tornavano a Fregona” per discutere dell’uccisione del Vescovo e della distruzione del castello di San Martino di Ceneda. La congiura costringe il vescovo a rifugiarsi a Venezia per sicurezza, e la contesa si chiude nel 1343 quando i Procuratori di San Marco, per evitare ulteriori tumulti, rinunciano all’investitura ed il castello torna in mano ai da Camino.
Il castello viene coinvolto nel 1356 nella guerra tra Lodovico re d’Ungheria e la Repubblica di Venezia con i nobili locali alleati ora con l’uno ora col l’altra: “…, Fregona, ed altri castelli del territorio Trivigiano, tutti cessero alle armi Unghere o rendendosi spontanei, o presi d’assalto”. In seguito nel 1372 durante la guerra tra Veneziani da una parte, Carraresi e il Re d’Ungheria dall’altra, Fregona è citata in una lettera del doge Andrea Contarini in cui si chiedono rinforzi “provvedano senza indugio a arruolare fanterie, mercenari eventualmente o sudditi fidati di Fregona e Solighetto”.
Nel 1383 il castello di Fregona è di nuovo coinvolto nella guerra tra Venezia, Francesco da Carrara e Leopoldo III duca d’Austria. Ferito e fatto prigioniero Guecellone IX che combatteva con i Veneziani, Fregona e le altre fortezze del territorio si arrendono con poca resistenza. 15 ottobre 1383 “il signore di Padova dopo la cattura del castello di Cordignano del signor Guecello da Camino, occupò e detiene … il Castello di Fregona ..del detto signor Gherardo (fratello di Guecello n.d.r.)”.
Guecellone si presume morto a Portobuffolè nel 1390, il fratello Gherardo VII, attiratosi l’odio di Francesco I da Carrara, perse i castelli di Cordignano, Motta e Fregona e rimase prigioniero a Padova per alcuni anni: liberato alla fine del 1390 riparò col figlio Ercole presso Jacopo da Porcia e morì l’anno dopo. Con questi due fratelli si conclude praticamente la storia dei Da Camino, anche se sopravvissero rami secondari ed eredi senza più alcuna rilevanza politica e militare.
Qui si ferma la storia del castello, di cui è incerta la data di distruzione: il Verci nella sua cronaca della guerra che dal 1411 oppone Venezia a Sigismondo d’Ungheria, e che semina distruzioni fino a Marostica e Bassano, non cita Fregona, pur ricordando, per esempio, Cordignano e Valmareno. Questo potrebbe anche non essere significativo ed il castello essere stato distrutto in quelle circostanze, come invece significare che il castello, passato secondo la tradizione a Salatino Scotti (“re Salatin”) che certo non era un guerriero, avendo ormai perduta ogni funzione militare e, forse danneggiato nel 1383, fosse stato abbandonato o destinato ad altri usi.
Sigilli dei “Da Camino”
“S (Sigillo di) VECELI (Guecello) FILII (figlio) DNI (del signor) GERARDI (Gherardo) D (da) CAMINO”
“S (Sigillo di) GERARDI (Gherardo) D (da) CAMINO”
“SIGILLUM (di) BIAQUINO DE CAMINO”
“S (sigillo di) GAIA D (da) CAMINO UX(oris – moglie di) DNI (domini – del signor) THOLB(er)TI DE CAMINO”
Mappe storiche
Kriegskarte austriaca (1797-1805) con il castello ed un sentiero di accesso da Mezzavilla che ora non esiste più
Catasto napoleonico (1810) in cui è indicato “Colle detto il castello distrutto fu del re Salatino”
Campanile di Fregona
L’idea di costruire il campanile
I preparativi per la costruzione dell’attuale bellissimo campanile, si possono far risalire all’inverno 1869-1870. Su incitamento dell’arciprete don Antonio Dalla Rosa, si cominciò a reperire il materiale necessario. In seguito però, essendo sopraggiunte delle difficoltà, il lavoro fu abbandonato e il materiale già accumulato venne impiegato per altri usi, e in parte rubato di notte.
Dall’anno 1880 l’idea della costruzione del campanile sembrò procedere sicura, senza ulteriori intoppi.
Le fondamenta
Grazie allo spirito d’iniziativa dell’arciprete don Andrea Tomé, che aveva già dato prova di particolare intraprendenza riparando la chiesa arcipretale e la canonica gravemente lesionata dal terremoto del 29 Giugno 1873, si rivelò determinante per la costruzione del campanile. Egli infatti non solo dal pulpito fece costante e calorosa opera di convincimento. Allo scopo di agevolare il trasporto dei pesanti massi dal Masaré, ideò perfino uno speciale tipo di carro, detto «car mat», a due ruote senza sponde, trainato da buoi, ma anche a mano.
Il 6 Febbraio del 1881 don Andrea procedette a far nominare dalla popolazione una apposita commissione, presieduta da lui stesso, che si mise subito all’opera dando inizio allo scavo delle fondazioni fino dal 15 dello stesso mese.
Grazie allo spirito d’iniziativa dell’arciprete don Andrea Tomé, che aveva già dato prova di particolare intraprendenza riparando la chiesa arcipretale e la canonica gravemente lesionata dal terremoto del 29 Giugno 1873, si rivelò determinante per la costruzione del campanile. Egli infatti non solo dal pulpito fece costante e calorosa opera di convincimento. Allo scopo di agevolare il trasporto dei pesanti massi dal Masaré, ideò perfino uno speciale tipo di carro, detto «car mat», a due ruote senza sponde, trainato da buoi, ma anche a mano.
Il 6 Febbraio del 1881 don Andrea procedette a far nominare dalla popolazione una apposita commissione, presieduta da lui stesso, che si mise subito all’opera dando inizio allo scavo delle fondazioni fino dal 15 dello stesso mese.
Tutta la popolazione della parrocchia, indistintamente, sulla base di turni prestabiliti tra le otto frazioni, lavorò instancabilmente e con grande entusiasmo, chi scavando il pozzo di fondazione della profondità di 20 metri, con base quadrata di 12 metri per lato, chi asportando con le gerle la grande quantità di terra estratta (840 metri cubi) e disponendola tutt’intorno alla chiesa, livellando l’ampio piazzale sovrastante la strada.
I lavori si svolgevano prevalentemente durante i giorni festivi, ma occorsero anche molti giorni feriali; inoltre, si ricorda che la frazione di Sonego in più occasioni fece pervenire alla gente che lavorava delle infornate di pane.
Il 21 Dicembre 1881, dopo oltre dieci mesi dall’inizio dello scavo, tutto era pronto per la solenne cerimonia della posa della prima pietra delle fondazioni. Alle due del pomeriggio il cancelliere del vescovo Cavriani scese nel pozzo di fondazione per collocarvi, in un punto dove zampillava dell’acqua limpidissima, la pietra benedetta racchiudente una pergamena e delle monete in corso.
Ben tre anni occorsero per portare a termine la muratura delle fondamenta, che era a forma di quadrilatero avente i lati dello spessore di quattro metri e conservando circolare la parete interna, a mo’ di pozzo, un sistema che sarà mantenuto uguale fino alla cima.
Il progettista e scultore Francesco Ciprian
Il disegno prescelto per l’esecuzione del campanile fu realizzato dallo scultore e progettista nativo di Fregona Francesco Ciprian, che si diceva avesse ideato quando era emigrante in Austria, ispirandosi alla Chiesa Votiva di Vienna [la rassomiglianza invece si trova nelle torri del Rathaus di Vienna (n.d.r.)].
Determinato a lasciare alla sua terra un monumento che testimoniasse nei secoli la sua abilità e il suo amore, egli si era accinto con trepidazione all’opera non solo curandone la progettazione fin nei minimi particolari, ma anche sorvegliandone di persona l’esecuzione attimo dopo attimo. Le difficoltà erano molte e d’ogni genere, ma quello che gli procurava maggior fastidio erano le continue interferenze da parte di certi suoi paesani, la cui saccenteria gli era insopportabile a tal punto che un bel giorno ritirò i suoi disegni, deciso a non più collaborare. Buon per noi che in seguito poi tornò sulle sue decisioni altrimenti non potremmo oggi ammirare l’opera compiuta con tutte le decorazioni che l’hanno resa famosa, con l’elegante cella campanaria, le ardite guglie e, in parte, quei singolari «acquaroi» della cima, evocazioni fantastiche di teste di draghi e di leoni, mirabili sculture uscite anche dalle sue mani di provetto intagliatore della pietra.
Francesco Ciprian nacque a Osigo il 2 Giugno 1840, successivamente si trasferì a Vittorio Veneto, dove morì il 7 Dicembre 1918.
I suoi disegni per la progettazione del campanile vennero persi durante i bombardamenti di Treviso, dove viveva una sua nipote, che li possedeva.
Seconda fase dei lavori (1885-1891)
Il 6 Aprile 1885 il segretario del vescovo Cavriani benedì una seconda pietra, che venne posta sopra le fondamenta, oramai giunte all’altezza del piazzale, nell’angolo prospiciente la chiesa, dove il muro di fondazione è più profondo perché poggia su un terreno meno sicuro.
Da questo momento quindi ha inizio la seconda fase dei lavori che porteranno la torre campanaria all’altezza dei primi finestroni, interrompendosi bruscamente nel 1891 per l’improvvisa partenza da Fregona dell’arciprete don Andrea Tomé, animatore infaticabile dell’opera.
Terza fase dei lavori (1891-1909)
Nel Novembre del 1891 fu nominato arciprete don Angelo Ferro, che resosi conto che i lavori per la costruzione del campanile, non ancora giunto a metà, avevano bisogno di un nuovo impulso, provvide subito a nominare una nuova commissione, presieduta da Candido Azzalini, la cui opera, si rivelò determinante per il compimento di questo prestigioso monumento.
A più riprese, ogni qual volta il presidente della commissione glielo richiedeva, rivolse pressante invito alla popolazione perché concorresse, con i mezzi di cui ciascuno disponeva, alla realizzazione dell’opera, non dimenticando che ognuno aveva «un lavoro ben più importante di cui occuparsi nella campagna».
Nella speranza di portare a termine entro l’anno la cella campanaria, il 26 Giugno 1897 Candido Azzalini, sempre a nome della Commissione, prega l’arciprete di rivolgere in chiesa parole di incitamento per coloro che non abbiano ancora provveduto a versare «la promessa rata pel campanile, ora che la gente sta per incassare denari o per la vendita di bozzoli, o delle prime partite di formaggio», minacciando anche di pubblicarne il nome, perdurando la situazione deficitaria.
Alle soglie del nuovo secolo, «tra scosse e scosserelle», ossia con contributi in denaro più o meno sostanziosi da parte di enti pubblici e da privati, «la Fabbrica del Campanile», che aveva già compiuto «una sì bella ed inoltrata opera», era oramai pronta per il balzo finale.
Il 12 Gennaio 1907 la Fabbrica del Campanile vede venir meno, a soli 57 anni, il suo più infaticabile e convinto promotore, Candido Azzalini.
Il campanile restò, ed è tuttora, mancante della sua cuspide; si dice che doveva essere alta ben 12 metri, a partire dalla base di quelle fascinose otto guglie, terminanti con il caratteristico fiorone, che ricordano «in numero mistico le otto beatitudini del Vangelo secondo s. Matteo, perfezione somma della virtù e causa della nostra speranza». Incompiuta quindi è rimasta l’opera più rappresentativa di Fregona, ma non certo per la mancanza di generosità del suo popolo.
Le Campane
Non avrebbe senso parlare di un campanile senza ricordare le sue campane. Forse a qualcuno oggi, ossessionato da questa nostra società dei rumori, il loro squillo può dar fastidio, ma non dobbiamo dimenticare che esse in passato hanno ritmato le nostre giornate e, suonando a distesa, a martello od anche a morto, hanno segnato le tappe più importanti della vita di ognuno.
In verità, i «terzi» e le «allegrezze», soprattutto quelli suonati dai giovani di Breda, erano famosi in tutta la zona, tanto da ispirare una delle pagine più celebri e poetiche del romanzo «Il più forte», dello scrittore vittoriese Emilio Zanette.
A partire dalla Pasqua del 1961 le campane si sono dovute elettrificare; scriveva infatti l’allora arciprete don Raffaele Lot: «Siamo orgogliosi di avere (dopo la Cattedrale) il terzo di campane più grande della diocesi, e non abbiamo la soddisfazione di sentire suonare i terzi di una volta, perché manca la forza».
C’è però qualche persona anziana che rimpiange ancora il «triplice concerto», regolare e poetico di una volta, quando era guidato da mani abili e da orecchi attenti, e si diffondeva dolcemente nelle valli «come vecchie voci destando una religiosa commozione nei casolari lontani ».
Le peripezie occorse alle tre grandi campane, di cui due fuse nel 1907, fatte precipitare dall’alto del campanile e quindi asportate dagli Austriaci invasori il 4 Giugno 1918, ci sono note per essere state raccontate da Mons. Toja in un suo manoscritto, nel quale viene rilevato anche che «i barbari invasori» manomisero l’orologio del campanile, quello precedente all’attuale, con i numeri romani.
Il 23 Marzo 1920, tra l’entusiasmo e la commozione generale, vennero trasportate a Fregona, su dei robusti carri trainati da buoi, le tre nuove campane fuse poco tempo prima dalla ditta De Poli di Vittorio Veneto.
La più grande di queste, che pesava 2220 Kg., l’8 Febbraio 1927 si ruppe. Le tre nuove campane arrivarono da Bassano il 29 Ottobre 1927; nello stesso giorno partirono per la stessa località le tre vecchie. Dopo solo pochi mesi alle due minori si ruppero i manici che le tenevano sospese ai ceppi. Le nuove campane furono consacrate dal vescovo Beccegato l’8 Giugno 1928.
La campana grande (♪ Sib3) venne rifusa nel 1950 ed è dedicata a “Santa Maria Assunta”. La media (♪ Do4) è dedicata a “San Martino”, venne rifusa nel 1994. La piccola (♪ Re4) è ancora del 1927.
Danni causati dai terremoti del 1936 e del 1976
Il terremoto del 18 Ottobre 1936, anche se meno intenso e meno disastroso di quello del 29 Giugno 1873, provocò egualmente gravi danni all’abitato di Fregona. Il divieto imposto dal parroco ai gestori delle giostre di sistemarsi, come di abitudine, ai piedi e attorno al campanile in occasione della tradizionale sagra della terza di ottobre si rivelò provvidenziale, perché le violente e prolungate scosse sussultorie e ondulatorie verificatesi proprio la mattina della sagra alle ore 4.10’.22”, fecero cadere tutti e quattro i pinnacoli ai lati del campanile.
Anche il recente terremoto del 6 Maggio 1976, che ha colpito con particolare violenza la parte settentrionale del Friuli, ha fatto cadere una punta di detti pinnacoli, che è precipitata al suolo trascinando con sé anche l’impianto della trasmissione elettrica delle campane, oltre ad una balaustra per la lunghezza di 10 metri. I lavori di riparazione furono fatti eseguire con tempestività dall’arciprete don Raffaele Lot, che in precedenza aveva costruito la nuova balaustrata in cemento della cella campanaria, fornendo quest’ultima di ceppi nuovi in ghisa per il sostegno delle campane e rinnovando l’impianto del parafulmine.
Cenni artistici
Fregona si contraddistingue per un patrimonio storico-artistico caratterizzato talora da presenze rilevanti, come la celebre “Pala di San Giorgio”, dipinta da Francesco da Milano nel 1529, ora nella parrocchiale di Osigo, oppure il “Crocifisso e le Anime del Purgatorio” di Sebastiano Ricci nella chiesa arcipretale, dipinto nel 1704.
La chiesa arcipretale custodisce pure sculture del maestro del Canova, Giuseppe Bernardi Torretti, oltre a due tele della bottega del Tiziano: si tratta di una “Madonna con bambino fra i Santi Tiziano e Biagio” di Cesare Vecellio e “San Giovanni Battista con Santa Lucia e Santa Caterina d’Alessandria” del 1575, opera di Orazio Vecellio. Sul soffitto della chiesa si può ammirare un grande affresco del veneziano G. C. Bevilacqua, del 1826. Pregevole anche l’organo posto sopra la cantoria costruita da Zuane da Limana nel 1873. Numerose sono anche le opere d’arte di minore qualità, ma non per questo meno importanti come espressione dell’ambiente fisico e sociale di chi le ha prodotte, oltre che del buon gusto dei suoi abitanti.
Ville Padronali
Il territorio è contrassegnato anche da numerose ville padronali, espressione decentrata della dominazione di Venezia; in particolare la secentesca villa Troyer-Lucheschi De Mori-Salvador Bacchiani, che si fa ammirare per l’eleganza e armonia di ritmi che la contraddistingue, ma anche villa Altan-Pancetti alle Fratte, quella dei Todesco-Salvador alle Buse, dei Laurenti a Danese, dei Giustiniani in Borgo Piazza, dei Casoni in borgo Coisola e dei Carnielutti ad Osigo. D’interesse anche i numerosi capitelli e i centri storici come quello di Sonego, Piai, Osigo, con case dalla tipologia particolare dei sassi a vista.